I primordi
L'età greca
L'epoca Romana (uno status symbol)
Follie ittiche
Medioevo, tempo di penitenza
Pesce per tutti
Il "pesce che ha fatto la storia"
All’inizio del XV secolo le navi inglesi navigavano verso l’Islanda per prelevare merluzzo essiccato al sole e all’aria, mentre altre veleggiavano nell’atlantico nel corso di spedizioni di pesca che duravano più di sei mesi. I pescatori europei del XV secolo intraprendevano coraggiosi viaggi per mari sconosciuti e fu proprio durante uno di questi, nel 1497, che Giovanni Caboto, al servizio dell’Inghilterra, scoprì il Nord America mentre era alla ricerca di merluzzo. Riferì che “questo regno non avrebbe più dovuto servirsi dell’Islanda” perché le acque del Nord America brulicavano di pesci.
Al merluzzo fu conferito il titolo di “pesce che ha fatto la storia” e subito dopo la scoperta di Caboto flotte di navi olandesi, francesi, portoghesi e spagnole affollarono le acque intorno a Terranova. In un’unica stagione la Francia aveva schierato ben 300 navi nella zona dei Grandi Banchi, pescando e salando merluzzo per i mercati parigini. Per circa 300 anni il merluzzo fu la merce più importante del commercio internazionale, detenendo una posizione paragonabile a quella che conquisterà il petrolio alla fine del XX secolo.
Alla guerra per il pesce
La cucina di pesce nella fascia mediterranea
Il pesce d'acqua dolce
Il Passaggio dalla civiltà romana a quella medievale porta anche a un diverso orientamento di consumi nel settore ittico. Nei secoli aurei della Repubblica e dell’Impero, Roma dà vita a un’organizzazione produttivo-commerciale, estesa dai grandi allevamenti ai corrieri in grado di trasportare merce fresca con grande rapidità, che favorisce il consumo dei pesci d’acqua salata. Nel Medioevo ciò diviene impossibile. Si ripiega allora sul pesce d’acqua dolce, sia spontaneo sia allevato. Infatti, la richiesta di pesce è molto forte, soprattutto per poter osservare le regole sul digiuno ecclesiastico. Da ciò una notevole attività, sui fiumi e laghi, di quanti si dedicano per mestiere alla pesca, e la nascita, soprattutto a favore dei conventi, dei privilegi relativi. Tutto questo ha determinato la formazione di una grande fascia di consumo, localizzata nella valle padana. Cosa logica, in quanto gran parte della civiltà italica si è sviluppata qui, soprattutto intorno ai grandi laghi e lungo il corso del Po, fino al delta. Territori, questi in cui la pesca è agevolata e il prodotto può giungere sui mercati in condizioni ottimali, anche senza dover ricorrere a trasporti veloci. Per bontà di prodotto, ma anche per prezzo elevato, dovuto ai pochi esemplari pescati, si determina una divisione fra pesce nobile e plebeo. Alla categoria più pregiata appartengono lo storione, il luccio e la trota. Il primo vive nel Po, raggiunge talvolta dimensioni eccezionali, e ha inoltre un prodotto derivato di grande pregio, il caviale. Tutto questo ne fa oggetto di privilegi. Si può citare, a questo proposito, un editto del vescovo di Ravenna che impone ai pescatori di riservargli tutti gli storioni lunghi più di quattro piedi, e cioè circa due metri. In Inghilterra era addirittura il re a pretendere un diritto di preferenza per quei grandi pesci. Un gradino più sotto nella scala dei valori gastronomici veniva il luccio, considerato con attenzione anche per la sua ferocia di “pescecane d’acqua dolce”. Caso ben diverso per la trota, simbolo della fauna ittica lacustre e, in misura minore, di quella dei torrenti di montagna. Per sapore, appetibilità, modesta quantità di spine, la trota è stata, nei secoli, la regina dei laghi, stabilizzando una fascia omogenea di consumo grazie anche alla scarsa varietà di ricette, limitate alla sobbollitura o alla cottura nel burro o sulla griglia. Per disporre di queste specie pregiate era però necessario poter contare su una flottiglia da pesca lacustre ben organizzata. Logico che tutta la manodopera al lavoro nei secoli andati non si limitasse alle catture importanti, ma cercasse di utilizzare nel modo migliore tutto quanto restava impigliato nelle reti. Così, si potrebbe dire in parallelo con il pesce azzurro del mare, anche le acque dolci hanno i loro pesci a buon mercato: sardine del Garda, negli altri specchi acquei l’agone, grande e piccolo, da cui si ricavano pure cibi consumabili in tempi lunghi, e accettati, specie un tempo, quali piatti di Quaresima: i pesciolini fritti e conservati poi in carpione e quelli essiccati. Un tempo ritenuto cibo popolare e ora promosso a piatto di prezzo elevato, era il pesce persico nostrano. Un discorso a sé meriterebbe l’anguilla. per il suo carattere ibrido, quale specie marina e d’acqua dolce. Anche il bisato, per chiamarlo col nome veneto, ha avuto molta più importanza nei secoli del “grande magro” di quanto non ne abbia oggi. A completare il quadro del pesce diffuso, restano i nomi e i ricordi dei pesci comuni: l’alborella (anche in questo caso un pesciolino da friggere), il cavedano (polpa di sapore mediocre, in quanto viene da un una specie chiamato anche il netturbino del lago, e troppe spine), la bottatrice e il barbo. Un fenomeno interessante è dato dall’arrivo e acclimatazione, nell’ultimo secolo, di specie estranee alla nostra fauna lacustre tradizionale, fatte giungere da lontano e messe a dimora in allevamenti per essere poi, in molti casi, diffuse nelle acque libere. Ciò è avvenuto, anzitutto, con la trota iridea, quella con la pelle a tratti rosata e iridescente, giunta dall’America in Europa sul finire dell’Ottocento e ora in piena attività riproduttiva negli allevamenti. Altri apporti americani sono il persico trota, il persico sole, e, vorace, prolifico e di scarso valore gastronomico, tanto che alcuni lo considerano più un danno che un buono acquisto, il pesce gatto. Sembra che la diffusione del pesce gatto abbia una strana origine. Nel 1904, pochi esemplari che si trovavano, come pesci da ornamento in una vasca, nel bolognese, sarebbero riusciti a scappare raggiungendo, per acque interne, il Po. Da allora non si sono più fermati. Altro estraneo, ma di origine europea, immesso per la prima volta nel lago di Como nel 1885, il lavarello, detto anche coregone, è entrato nel gruppo dei pesci pregiati, in parallelo con la trota e il persico. Per quanto riguarda i crostacei, un tempo i gamberi di fiume erano presenti in quantità enormi in tutto il Nord Italia ricco di acque correnti. Oggi sono scomparsi ed è facile dare la colpa all’inquinamento. Tuttavia, per la precisione, tra il 1876 e il 1880, una grande peste di gamberi, dovuta a un fungo microscopico, distrusse la specie in quasi tutta Europa.
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