Matea Mora 

Titolo: Matea mora: il signore deo pescecani

Autore: Franco Prosperi

Editore: Garzanti, Milano

Anno di Pubblicazione: 1953

Genere: Racconti, Caccia Subacquea

Collana:

Note: Questa di Prosperi la possiamo definire la prima spedizione scientifica Italiana, ancor prima di quella di Roghi e compagni alle isole Dahlak nel Mar Rosso, se si pensava fosse quella la prima, ci eravamo sbagliati.

*Questo libro é presente nella Libreria di Morgan*

Dalla seconda e terza di copertina:

Il nome di Franco Prosperi è all’ordine del giorno nella stampa d’oggi. Laureato appassionato studioso di biologia e ittiologia, il suo spirito d’avventura, le sue innumeri esperienze di viaggiatore che lo portano, ancora studente, oltre il Circolo Artico, la sua passione per i misteri più ascosi della natura hanno polarizzato intorno a lui il fervore di altri giovanissimi, temprati alle più dure fatiche e generosamente pronti ad ogni rischio. Questo giovane nato a Roma nel 1928, si pose a capo di una spedizione scientifica ittiologica, patrocinata dalla Società Geografica Italiana, e con i compagni Paolo Cavata e Carlo Gregoretti sbarcò, nel dicembre del ’51, nell’isola di Ceylon per scrutare ed esplorare i fondali corallini dell’Oceano Indiano. Dal momento che questi giovani audaci mettono piede a Colombo, sospinti da curiosità e da entusiasmo irrefrenabili, la loro avventura non ha pause. Il lettore vivrà con loro in paesaggi singolari ed aspri, fra costumi e genti semibarbare, conoscerà le ombre insidiose delle giungle, sarà portato su atolli coralliferi e nel mondo incantato abissale fra squali paurosi, attaccati e vinti da quei coraggiosi che saranno salutati dagli indigeni col nome di Matea Mora. Nè manca nel libro l’interesse avvincente del dramma: rivelazioni di passioni, amore, odio e subdole vendette della fauna marina. Inoltre, la conoscenza perfetta che Prosperi ha della tecnica fotografica e cinematografica subacquea fa sì che le meravigliose avventure di questi giovani narrate con chiara immediatezza, abbiano la testimonianza non meno stupefacente di immagini captate alle più paurose profondità azzurre in attimi di sforzi sovrumani con impeccabile e incredibile esattezza. Franco Prosperi è oggi capo di un’altra spedizione patrocinata dal presidente del Consiglio e riconosciuta dalla società Geografica Italiana e dall’Istituto di Zoologia dell’Università di Roma. Partita da Venezia nel maggio 1953 e diretta al Lago Tanganika, la spedizione svolge esplorazioni e ricerche di supremo interesse scientifico alle isole Comore, arcipelago relitto di un ponte geologico che unì l’Africa al Madagascar.


Una citazione dal Capitolo IV “Coralli e Serrani”:
“....Le rocce vi affondavano perpendicolarmente, poggiandosi con netto stacco su di un vasto pianoro fangoso, a quindici metri dalla superficie. In corrispondenza quindi dell’anello dell’atollo e a sostegno di questo, si elevava dal basso una cinta rocciosa che quasi ripeteva, sotto le acque, l’architettura dei bastioni del forte. Entro queste mura subacquee, tra l’accavallarsi dei massi, si scorgeva l’apertura irregolare di oscure cavità. Affacciata ad una di esse, a non più di cinque metri da noi, una cernia adiposa ci osservava curiosamente, agitando con pigra sonnolenza le vaste pinne pettorali. se la forma e le movenze non ci facevano esitare nel riconoscerla come una cernia, non così si poteva dire del colore. Era la prima volta che osservavamo un simile habitus in un individuo appartenente alla famiglia. Rossiccia superiormente e giallo-avana nelle parti ventrali, era irregolarmente coperta di macchie marrone, che infittendosi sul muso affilato e sulle pinne li rendevano più scuri del resto del corpo. Non tardammo ad immergerci ed a muoverle contro. Evidentemente assai poco scaltra, non prese ad indietreggiare nè sparì bruscamente entro la sua tana; anzi piuttosto interessata dalle nostre originali figure, ci mosse incontro con confidenza. Ma quando la mia asta le si conficcò saldamente nella fronte convessa si voltò con violenza e scomparve nel buio, mentre le si perdeva dietro la sagola del mio fucile. Seguendola nell’apertura cercai di scorgerla nell’ombra, utilizzando la corda come guida. Già prevedevo la consueta lotta per strappare quel corpaccio dal suo rifugio, come nelle vecchie catture fatte lungo le coste e le isole del Mediterraneo. Come si sa, infatti, i serrani usano allargare le loro robuste ganasce, i potenti opercoli branchiali, rendendo difficile ed a volte impossibile farli uscire dalle fessure in cui si celano.”


                       Un immagine del volume aperto su una delle pagine (l’immagine è attiva).


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